La chiesa di Sant’Elena nella Repubblica di Venezia
La chiesa di Sant’Elena ha una storia molto complessa. Nel passato il luogo dove ora si trova la chiesa era una delle tante isole che circondavano Venezia. La città terminava dove oggi sono i Giardini della Biennale, e al posto dell’attuale quartiere si trovava una parte di laguna. L’isoletta aveva una posizione particolarmente vicina alla bocca di porto, cioè il canale che collega la laguna al mare, ed uno dei primi luoghi abitati che si incontravano entrando in laguna, e uno degli ultimi che si lasciavano partendo.
Sull’isoletta già nel 1060 si trovava un “hospitale”, gestito da frati e suore, che serviva per viaggiatori e pellegrini.
Un documento del 1174 riporta i nomi di alcuni religiosi, che sono tra i primi abitanti del posto di cui ci sia pervenuta notizia: “Guidone, Guglielmino, Donichana, Charista e Ursilia”.

La pianta di Jacopo de’ Barbari, famosissima rappresentazione della città di Venezia nell’anno 1500, mostra chiaramente l’isola di Sant’Elena completamente separata dalla città.
Purtroppo non sappiamo che aspetto avesse la chiesa più antica.
Secondo una tradizione riportata da diverse fonti, coerenti fra loro, nei primi decenni del 1200 fu portato qui il corpo di Sant’Elena, madre di Costantino, da Costantinopoli: Aycardo “canonico regolare” riuscì a sottrarre il corpo nascondendolo in una cassa e a caricarlo su una nave veneziana che lo portò in laguna. La leggenda agiografica vuole che la nave si sia fermata su una secca corrispondente all’attuale isola (mentre ora sappiamo che di sicuro all’epoca l’isola esisteva già ed era abitata) e non sia stato possibile liberarla fino a che non sia stata scaricata la cassa con la sacra reliquia, che dunque avrebbe così dimostrato di scegliere il luogo dove fermarsi.
Nella seconda metà del 1300 avvenimenti che sconvolsero il mondo , quali lo scisma d’occidente e la peste narrata dal Boccaccio, misero in difficoltà il monastero di Sant’Elena, allora governato dagli Agostiniani. In quella circostanza un ricco mercante, Tommaso Talenti, legò un lascito alla Repubblica di Venezia con la condizione che i beni andassero a un monastero di Olivetani che si trovasse sotto il vescovado di Castello (che in seguito sarebbe diventato patriarcato di Venezia) o sotto quello di Torcello (all’epoca importante centro lagunare). Questa combinazione di eventi indusse la Repubblica, in accordo con il Papato, a trasferire il monastero dagli Agostiniani agli Olivetani. Essi erano un ramo dei Benedettini, dei quali condividevano il simbolo, cioè un triplice monte stilizzato sovrastato da una croce, con l’aggiunta di due piante di olivo ai lati: simbolo che nel complesso di Sant’Elena si trova ripetuto in numerosi punti.

Uno dei più belli è nel tondo in chiave della volta dell’abside della chiesa.
Il lascito di Tommaso Talenti, nonché quello di poco successivo della moglie Margherita, che comprendeva soldi e un intero armadio di preziosissimi libri manoscritti, permise ai nuovi occupanti dell’isola di iniziare a pensare a rinnovare il complesso.
Una nuova occasione derivò, agli inizi del 1400, da nuove risorse legate questa volta dalla famiglia Borromeo, in fuga dalla Toscana a seguito delle lotte fra guelfi e ghibellini. Alessandro Borromeo, e in seguito il fratello Borromeo Borromeo ed il nipote Galeazzo legarono al monastero risorse che permisero inizialmente di costruire la cappella di Sant’Elena (che ospitava le tombe della famiglia) e in seguito l’intera chiesa.

Lo stemma Borromeo, a fianco di quello degli Olivetani, è tuttora infisso sulla facciata del monastero ed è ripetuto in vari punti della cappella.
La cappella di Sant’Elena, o dei Borromeo, venne così iniziata nel 1418, mentre era del 1420 una lapide ora perduta relativa al completamento.
I lavori, però, proseguirono con gli edifici circostanti,così che nel 1444 erano compiuti i muri della chiesa, e nel 1460 la cappella Giustinian, che si trova verso l’abside a sinistra.

La chiesa si caratterizza per un importante quanto splendido soffitto al volte, non usuale per Venezia in quanto risultava oneroso e richiedeva una grande perizia per contenere le spinte, data la difficoltà di realizzare grandi strutture portanti sul suolo lagunare.
La costruzione si deve a Jacopo Celega, “proto” (ovvero ingegnere) dei Procuratori di San Marco, la massima carica della Repubblica, discendente da una famiglia di architetti.
Uno degli aspetti più sorprendenti è il monumento che decora il portale della facciata: di committenza privata, da parte dei figli dell’ammiraglio Cappello (morto in imprese belliche in Grecia), è uno dei primi esempi di rinascimento a Venezia, e risale agli anni immediatamente precedenti il 1476, quindi pochissimo posteriore al resto della chiesa, che invece è chiaramente gotica. Si assiste così nella facciata allo scarto fra la realizzazione dell’edificio, di committenza pubblica e conservatrice, e quella del monumento.

Il bellissimo monumento, attribuito ad Antonio Rizzo, presenta un gruppo scultoreo nella lunetta sovrastante la prta in cui si vede l’ammiraglio Cappello inginocchiato davanti a Sant’Elena che gli porgeva la Croce. Quest’ultima si è persa nelle vicissitudini vissute dall’intero complesso, ma è visibile in un disegno settecentesco conservato al Museo Correr di Venezia.

Solo nel 1515 avviene la consacrazione, ad opera del vescovo di Kìssamos Domenico Aleppo. Lo stesso vescovo si curò di altri dettagli della chiesa, fino a realizzarvi la sua tomba. Esiste un documento del 1525 che riporta come in casa di Domenico Aleppo avvenne la commissione della pala dell’altar maggiore da parte del priore di Sant’Elena al famoso pittore Jacopo Palma il Vecchio.
Il meraviglioso dipinto si trova attualmente alla pinacoteca di Brera.
Altre opere provenienti da Sant’Elena si trovano alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Così è per il polittico dell’Assunzione della Vergine di Jacopo Moranzone, della seconda metà del ‘400, che decorava l’altare Loredan.
Ed altresì per la pala della Natività di Lazzaro Bastiani, che decorava l’altare della famiglia Balbi.
Infine si trova alle Gallerie dell’Accademia il polittico di Sant’Elena di Michele di Matteo, originariamente posto sull’altare della cappella di Sant’Elena.
La chiesa sull’isoletta raccoglieva insigni opere d’arte, numerose tombe di importanti famiglie veneziane ed era una delle più sfarzose di Venezia; fra l’altro, esisteva un setto marmoreo che divideva l’ambiente per i fedeli dal coro dei monaci, come attualmente si è conservato solo nella basilica dei Frari.

L’isola di Sant’Elena con il suo monastero, nel corso dei secoli, è stata usata per ospitare ambasciatori diretti a Venezia ed ha partecipato alla vita cittadina. Vi si svolgevano anche una parte della celebrazione della “festa de la Sensa”, ovvero l’Ascensione, famosa perché il doge si recava poco fuori della laguna a gettare un anello in mare in segno di unione della città con esso. Nel quadro settecentesco del Tironi si vede il Bucintoro, la nave ducale, in prossimità dell’isola, che era visitata dal Patriarca prima di raggiungere il doge.
Il disegno del Canaletto, databile intorno al 1740, mostra l’isola con un vistoso pennacchio di fumo uscente dal tetto a fianco del monastero; infatti, per la sua posizione prossima all’uscita della laguna, circa metà dell’isola era stata destinata dalla Signoria alla produzione di gallette, il famoso “biscotto” che serviva come scorta alimentare per i viaggi marittimi.